Una visione d’insieme dei processi vitali
In ogni istante, in ciascuna cellula vivente, avvengono migliaia di reazioni biochimiche: le macromolecole vengono assemblate e smontate, e i loro costituenti, i monomeri, vengono costruiti o demoliti a partire da piccole molecole organiche, i metaboliti.
Questi processi, cche nel loro complesso costituiscono il metabolismo cellulare, vengono spesso descritti come una serie di "vie" distinte, piuttosto che come un sistema integrato, ciclico e autoregolato. In realtà tutto avviene simultaneamente, anche se negli organismi più complessi alcune funzioni sono delegate a organi specializzati.
Il cuore del sistema è costituito da monomeri e macromolecole (i polimeri), che vengono continuamente sintetizzati, nei processi anabolici, o demoliti, durante la digestione. L’anidride carbonica (CO₂) è raffigurata a parte perché se da un lato essa è il prodotto finale della completa ossidazione della materia organica, in particolare nella respirazione, dall’altro lato viene reintrodotta nei sistemi viventi dalla fotosintesi, che è un processo peculiare.
Questo è il metabolismo: un dinamico susseguirsi di trasformazioni molecolari, con flussi di materia bidirezionali, finemente orchestrati e regolati da complesse reti, dove due classi di macromolecole assumono ruoli distinti: il DNA contiene l’informazione per la costruzione delle proteine, mentre le proteine catalizzano le reazioni biochimiche e provvedono le strutture e le funzioni necessarie.
Un’orchestra senza direttore
Se l’insieme delle reazioni biochimiche che chiamiamo metabolismo somiglia a un’orchestra sinfonica, capace anche di suscitare pathos in chi osserva con meraviglia le manifestazioni della vita, sorge spontanea una domanda: chi è il direttore?
Una risposta apparentemente ovvia, ma in realtà ingenua, è: “il DNA”. È un’idea accattivante: il DNA come spartito e regista insieme, una sorta di cervello della cellula, che sovrintende e programma ciò che avviene. Ed è in effetti così che spesso si racconta la vita: i geni contengono le istruzioni, il programma, e l’organismo le esegue. È ad esempio la visione proposta, nella sua forma più radicale, da Richard Dawkins con la celebre metafora del gene egoista: gli organismi sarebbero solo veicoli temporanei costruiti dai geni per assicurare la propria sopravvivenza e replicazione. Ma questa visione, per quanto “virale” ante litteram, è fuorviante. Il DNA non dirige processi: il DNA viene letto, copiato, tradotto: è semplicemente un archivio da cui attingere informazioni.
L’errore concettuale è la ricerca di un “centro”, un agente organizzatore. È lo stesso errore che si commette in filosofia della mente quando si immagina la coscienza come un ente separato che osserva e decide — un “io” che sovrintende. In questo contesto, il “Realismo diretto” di John Searle, ad esempio, offre una prospettiva più solida: non esiste un centro che guarda e comanda, c’è un sistema di processi interdipendenti che si autoalimentano e si autoorganizzano.
E allora, chi costruisce il costruttore? Questa domanda ci conduce al concetto di autocatalisi.
Quando il costruttore costruisce se stesso
Breve divagazione informatica. Nei linguaggi di programmazione, la ricorsività è data da un’istruzione che richiama se stessa: un paradosso che genera un anello infinito (la maledizione dello stack overflow) se non si prevede una opportuna condizione di uscita. Però è proprio nella ricorsività che risiede la potenza del calcolo numerico, perché esso si basa fondamentalmente sull’iterazione controllata di un dato algoritmo.
L’autocatalisi in chimica è anch’essa una sorta di ricorsività: un composto catalizza la formazione di se stesso a partire dagli altri componenti di una miscela. Un esempio classico è la reazione tra permanganato di potassio e ossalato di sodio in ambiente acido. Perché la reazione si inneschi, nel sistema deve essere già presente una piccola quantità di ione manganese (Mn²⁺): questo è un catalizzatore, ma uno dei prodotti della reazione è proprio lo stesso ione manganese, che finisce per accellerare la stessa reazione che lo produce. Così, man mano che la reazione procede, la quantità di Mn²⁺ aumenta — e con essa la velocità della reazione: il prodotto induce la propria stessa produzione.
Dal punto di vista formale, i processi autocatalitici sono descritti da una semplice equazione: A + B → 2A. In pratica, A è capace di trasformare un reagente B in una copia aggiuntiva di se stesso.
Ma il concetto è molto più ampio: quell’equazione descrive ad esempio anche la logica che sottende la crescita di una popolazione di batteri in un terreno di coltura. Basta un singolo batterio (A), messo in presenza di nutrienti (B), ed esso genera due batteri (2A), e poi ciascuno di questi se ne genera un altro, e così via. Se la quantità di B è illimitata, si osserva una crescita esponenziale di A. Se invece, come è inevitabile, B è presente in quantità finita, la curva di crescita di A assume la forma tipica sigmoide (detta anche logistica): lenta all’inizio, poi rapida, infine rallentata fino all’arresto. [Non risuona forse qui qualcosa che concerne l'attuale situazione umana? Attenzione: dopo l'arresto non segue la stabilità, bensì il collasso.]
L’RNA autocatalico
Negli anni ‘80 si scoprì una capacità insospettata dell’RNA: dopo essere stato trascritto in lunghe stringhe sul DNA, l’RNA si ripiega in strutture tridimensionali e acquisisce la capacità di intervenire su di sé, autotagliandosi (!) in punti precisi e funzionalmente utili, e poi ricongiungendosi ad altri segmenti. Fu un cambio epocale di paradigma, perché fino a quel momento si pensava che solo le proteine avessero la potenzialità di catalizzare reazioni biochimiche. Nei decenni successivi sono stati scoperti numerosi esempi di attività catalitica dell’RNA: addirittura una delle reazioni più fondamentali della vita, l’aggiunta di un amminoacido (monomero) ad una catena proteica in formazione (polimero), è catalizzata da una molecola di RNA inserita in un complesso sovramolecolare. Queste molecole di RNA con funzione enzimatica furono chiamate ribozimi.
La scoperta del ruolo catalitico dell’RNA dimostrò che una singola classe di molecole poteva svolgere entrambi i ruoli fondamentali della vita: memorizzare l'informazione e catalizzare la propria replicazione.
Questa duplice funzione — informazione e catalisi — portò a una riformulazione dell'ipotesi del mondo ad RNA: un’epoca primordiale in cui la vita si basava esclusivamente sull’RNA. Questa idea era stata già avanzata negli anni ‘70 da Manfred Eigen con la teoria degli ipercicli, reti chiuse di ribozimi in cui ciascuno catalizza la formazione del successivo, creando un circuito autoreplicante e cooperativo. L'autocatalisi si realizza qui attraverso una rete di reazioni ad anello, dove le singole molecole non sono completamente auto-replicanti ma, collettivamente, sostengono e potenzialmente evolvono l'intero insieme.

Un sistema di questo tipo potrebbe essere stato cruciale nelle prime fasi della vita, prima dell'evoluzione di enzimi complessi e dell’origine del DNA come depositario dell’informazione genetica.
Autopoiesi: la vita che si costruisce da sé
Quello che ci rivelano i processi autocatalitici, dalle cellule fino ai sistemi ecologici, è che l’organizzazione non richiede un regista esterno: può emergere localmente da interazioni semplici, purché siano presenti meccanismi di retroazione positiva e di regolazione. La vita non è diretta da un centro di comando: è un sistema che costruisce se stesso — letteralmente — purché siano disponibili una fonte di energia e i costituenti elementari.
L’idea che un sistema possa costruire se stesso — e mantenere la propria identità attraverso il continuo ricambio delle sue componenti — è stata formalizzata con il termine autopoiesi, introdotto da Humberto Maturana e Francisco Varela negli anni ’70. Un sistema autopoietico è capace di rigenerare le proprie strutture interne e di delimitarsi rispetto all’ambiente esterno, mantenendo una coerenza funzionale e strutturale nel tempo.
E forse è proprio questa la meraviglia della vita: che da una miscela incoerente di molecole organiche e inorganiche possa emergere un ordine capace di autoreplicarsi, di adattarsi, di evolversi e, infine, persino di interrogarsi sulla propria origine.