I mattoni della vita, sulla Terra e altrove
Da un numero limitato di piccole molecole cosmiche la meravigliosa diversità delle forme viventi
Molecole organiche negli asteroidi
Ryugu e Bennu, con diametri rispettivamente di circa 1 km e 500 metri, sono due asteroidi cosiddetti near-Earth (vicini alla Terra), cioè con orbite che intersecano o si avvicinano a quella terrestre, addirittura con perieli più vicini al Sole rispetto a quello della Terra (il che li rende candidati ad un possibile impatto futuro). Il materiale di cui sono composti è costituito da un misto di polveri, pietre e massi aggregati gravitazionalmente, probabilmente a seguito di collisioni tra corpi più grandi. Un aspetto cruciale è che questo materiale risale all’epoca della formazione del Sistema Solare, circolando nel disco protoplanetario da circa 4,5 miliardi di anni fa.

La notorietà di questi sassi giganti è dovuta al fatto che sono stati visitati da due sonde spaziali: una dell’agenzia spaziale giapponese JAXA (2014-2021) e l’altra della statunitense NASA (2016-2023). E la cosa straordinaria è che entrambe le missioni hanno riportato sulla Terra campioni dei loro “suoli”, circa 5 grammi da Ryugu e circa 250 grammi da Bennu (la missione della NASA continua tuttora, dopo l’invio sulla Terra della capsula contenente il materiale).
Molecole organiche simili a quelle presenti negli esseri viventi erano già state osservate in varie meteoriti, ma il prelievo in situ da corpi celesti rappresenta una fonte incomparabilmente più affidabile ed esauriente. L’analisi dei dati di Ryugu aveva documentato la presenza di amminoacidi, di altre importanti classi di composti organici, ed in particolare dell’uracile, una delle quattro basi azotate che fanno parte dell’RNA terrestre. Quanto a Bennu, un articolo di gennaio di quest’anno riporta testualmente:
“Abbiamo rilevato amminoacidi, inclusi 14 dei 20 utilizzati nella biologia terrestre, (…) acidi carbossilici e composti eterociclici contenenti azoto, incluse tutte le cinque basi nucleiche presenti nel DNA e nell'RNA, oltre a a circa 10.000 altri composti chimici azotati”.
Questi risultati hanno suscitato entusiasmo perché rafforzano l’ipotesi secondo cui gli ingredienti chimici della vita potrebbero non essersi formati tutti sulla Terra, ma essere giunti qui attraverso impatti di meteoriti e comete, in un periodo noto come bombardamento intenso tardivo, circa 4 miliardi di anni fa. Ciò non esclude l’ipotesi che composti organici complessi si siano formati spontaneamente anche sulla Terra primordiale (che per molto tempo è stata l’idea dominante fra gli scienziati), ma dimostra che la chimica organica prebiotica è universale, e non richiede condizioni terrestri particolari. Inoltre i dati dimostrano che questi composti erano già disponibili nel Sistema Solare primordiale, anche prima che la Terra fosse adatta ad ospitare esseri viventi, e ciò implica che altre Terre — su esopianeti o lune lontane — potrebbero ospitare forme di vita basate sugli stessi composti.
Tutta la vita in una cinquantina di mattoni diversi
Sappiamo tutti, grazie all’ormai pervasiva cultura dietetica, che le principali categorie di macromolecole che compongono gli esseri viventi sono le proteine, i carboidrati e i lipidi. In realtà c’è una quarta categoria (che stranamente le etichette degli alimenti dimenticano di citare), e cioè gli acidi nucleici. Questi quattro tipi di macromolecole sono costituite dagli stessi ingredienti basilari in tutti gli esseri viventi, e sono presenti nei più diversi organismi circa nelle stesse proporzioni; sono le macromolecole che danno alla vita il suo aspetto e la sua enorme varietà.
Le macromolecole sono in effetti polimeri giganti, costruite da centinaia e anche migliaia di monomeri, cioè piccole molecole organiche che sono tenute insieme nelle macromolecole o da legami testa-coda o da strutture filo-bandiera. E la cosa che può sembrare sorprendente è che il numero totale di monomeri importanti per la costruzione delle macromolecole biologiche è piccolo: si tratta di poche decine.
L’insieme degli amminoacidi comuni a tutti gli esseri viventi, che compongono le proteine (enzimi e recettori, e proteine strutturali), comprende 20 molecole diverse, di 5-10 atomi di carbonio, tutte con una struttura di base comune.
L’insieme dei monosaccaridi che compongono i carboidrati (zuccheri semplici come il saccarosio - lo zucchero da tavola -, o polimeri complessi come l’amido e la cellulosa) è più variabile, ma solo una decina di molecole di 5 o 6 atomi di carbonio gioca un ruolo centrale nella biologia.
L’insieme degli acidi grassi che compongono i lipidi (oli, grassi, steroidi) comprende una ventina di molecole principali, classificate in saturi e insaturi, spesso con catene di 16 o 18 atomi di carbonio.
L'insieme delle basi azotate che compongono il DNA e l'RNA (gli acidi nucleici) comprende 5 diverse molecole di 6-10 atomi fra carbonio e azoto.
In totale, quindi, stiamo parlando di circa 50 monomeri fondamentali: un numero sorprendentemente basso, considerando l’incredibile varietà di forme viventi presenti sulla Terra. Ma è proprio combinando questi mattoncini in modi diversi, lunghezze diverse, sequenze diverse — e, nel caso dei lipidi, anche architetture tridimensionali diverse — che la natura ha costruito tutte le forme di vita nel giro di tre miliardi e mezzo di anni (accellerando vertiginosamente negli ultimi 600 milioni): dalle piante ai funghi, dai batteri ai dinosauri, dagli insetti agli esseri umani.
Un alfabeto cosmico
Se è vero che questi piccoli mattoni organici rappresentano un alfabeto universale (per quanto di secondo livello: il primo è il codice genetico) che precede perfino la formazione della Terra, con il quale la vita ha poi scritto tutte le sue storie, dobbiamo concludere che la vita, almeno quella che conosciamo, non è solo un fenomeno terrestre, ma l’espressione di una chimica che può avvenire ovunque nell’universo.
Con una manciata di amminoacidi, zuccheri, basi azotate e acidi grassi, la natura ha costruito sulla Terra la complessità delle cellule, l’eleganza delle forme, la meraviglia della coscienza, fino a generare un essere capace di capire tutto questo.
E allora resta insoluta la domanda semplice e sconcertante che Enrico Fermi un giorno rivolse agli amici: “Ma dove sono tutti quanti gli altri?”.